Un ricordo di Fiorenzo Alfieri

Riceviamo dall’amico e prof. Tazio Brusasco, insegnante delle superiori a Settimo Torinese, ex presidente dell’Associazione Il Contesto Onlus ed ex dipendente dell’Accademia Albertina un ricordo di Fiorenzo Alfieri, insegnante elementare, fondatore, attivista del gruppo piemontese del Movimento di Cooperazione Educativa che per tanti anni ha guidato con rigore e passione il mondo culturale della nostra città.

Conoscere Fiorenzo Alfieri è stato un grande privilegio.

Lavoravo all’Accademia Albertina da oltre un lustro quando, un pomeriggio del 2013, giunse la notizia della sua possibile nomina alla presidenza. Aveva da poco terminato la seconda esperienza alla Cultura con Chiamparino e in quella veste lo avevo ammirato, come tutti i torinesi che avevano vissuto l’ebbrezza olimpica e le celebrazioni dei 150 anni dall’unità d’Italia. Immaginare che avrei potuto lavorare con una persona così mi aveva entusiasmato.

In quei giorni mi era tornata in mente una scena di pochi anni prima: in un gioco da tavola era richiesto di immaginare un personaggio famoso e farlo indovinare alla platea rispondendo solo sì o no alle domande. Un caso: io avevo scelto lui, un amico ci era arrivato.

E anche lui, poco dopo, era arrivato in Accademia, portando con sé La città che non c’era, il libro che aveva appena scritto sulla sua esperienza di amministratore e sugli anni che avevano cambiato Torino. Lo donò a me e a qualche collega.

In breve tempo nacque un feeling. Nonostante in Accademia ci fossero buoni rapporti umani, non avevo mai amato il mio lavoro amministrativo. Ma ora le cose cambiavano: lo affiancavo spesso e approfittavo di ogni occasione per un dialogo, un confronto, una spiegazione. E Fiorenzo non si negava, anzi gli piaceva raccontare. A me chiedere e ascoltare piaceva ancor di più. Pian piano iniziavo a esprimere le mie idee e sottoporle al suo vaglio, registravo giudizi e commenti sui quali meditavo a lungo e che talvolta risfoderavo nei confronti con altri, spesso dimentico dei diritti d’autore.  

Avevamo in ufficio una collega che generava un clima di tensione e conflitto con tutti. A seguito dell’ennesima questione, ebbi occasione di scrivere una lettera di rimostranze a nome di tutti i colleghi. Lui era il presidente da poco e noi potevamo finalmente avere un giudice imparziale! Era la mia occasione: mi impegnai per condensare in poche righe tutta la rabbia e, en passant, cercare di colpire il giudice con la prosa. In quei giorni era a Gressoney senza connessione: gliela lessi al telefono, col pathos di un attore a un provino importante. Non so se in quella occasione fu la sostanza o la forma, ma fummo ascoltati e ci sentimmo finalmente capiti.

Con i mesi intanto il nostro rapporto cresceva. Forse anche per fronteggiare la serie di eventi e iniziative che proponeva senza soluzione di continuità, mi aveva invitato nello staff, una lunga riunione settimanale nella quale si faceva il punto e ci si distribuivano attività e mansioni che sarebbero state verificate la settimana successiva. Il rispetto di questo appuntamento cadenzato era imperativo: “Io lavoro solo così, e le cose si fanno così!”. E poi, dopo una breve pausa, sorridendo aggiungeva sottile:”Conosci altri modi?”. No, ma intanto per me era strano sedermi al tavolo con i miei responsabili e dialogare con loro sulle scelte da pari a pari. Era inedito. Com’è giusto, avrebbero poi scelto loro, ma in quelle occasioni ognuno di noi poteva arricchire il dibattito e offrire idee, senza sentirsi inibito dalla mancanza di galloni sulla giacca. In quelle riunioni io e gli altri giovani colleghi abbiamo osservato un metodo, pur a costo di qualche calo ponderale: Alfieri era capace di lavorare senza alzarsi dal mattino al pomeriggio, e talvolta le riunioni si susseguivano senza pause. “Ma mangia?” ci chiedevamo ogni tanto. Grazie a lui però siamo cresciuti sentendoci sempre protetti e stimolati dall’indiscussa (indiscutibile!) superiorità culturale, esperienziale e operativa di Fiorenzo. Era una guida: era davanti ma la sentivi a fianco. 

Su questo mi soffermo: professionalmente mi ha cresciuto e formato come nessuno. Eppure non ricordo di essere mai stato sgridato in quegli anni. Se guardo indietro mi sembra incredibile, proprio non possibile. Ora che lavoro altrove e educo i miei figli mi rendo conto che io invece sgrido, impongo linee e non sempre sono maieutico. Lui lo era e quando non c’era tempo di esserlo era un motore. Tutt’altro che immobile. Grazie a lui quelli sono diventati anni formativi. 

Ma i miracoli non si possono fare né le vocazioni inventare e io, incoraggiato anche da lui, mi ero intanto messo a seguire i corsi per l’abilitazione all’insegnamento. Dopo oltre due anni il baricentro dei nostri discorsi si stava spostando dalla politica alla scuola, anche se capivo – e su questo lui insisteva – che i due mondi sono comunicanti. Ecco che si apriva un altro lato luminoso di Fiorenzo e con lui di Maria Teresa e della loro esperienza: la pedagogia. Che piacere sentir spiegare Vygotskij, Freinet, Piaget e Bruner da lui. E che bello capirli così, ricostruire e realizzare a posteriori il respiro, l’audacia, la bellezza delle attività che alle scuole elementari immaginavano e realizzavano per noi il mio maestro Angelo Petrosino e il direttore didattico Guido Piraccini anch’essi, con molti altri, membri del Movimento di Cooperazione Educativa che ha rivoluzionato la scuola pubblica in quegli anni (la nascita del tempo pieno!) e che era animato anche da Fiorenzo. A Torino, negli anni Ottanta, la mia generazione ha avuto una scuola sperimentale di grande qualità. E quando, da adulto, parlavo con i miei genitori di quelle scoperte, che bello realizzare quanti tra gli amici di famiglia avevano contribuito a pensare e strutturare quella didattica. E quanti lo ricordavano! Per ricalarsi in quelle atmosfere sperimentali consiglio la visione della serie Rai ‘Diario di un maestro’, pietra miliare per gli insegnanti d’allora ma ancora illuminante per noi. Indovinate chi me ne propose con perseveranza la visione.

I nostri discorsi e confronti continuavano in ufficio e, dopo il mio ingresso nella Scuola, al telefono e via mail, unendo ora l’educazione impartita tra i banchi a quella pensata per essere offerta alla società. Ecco di nuovo l’incastro perfetto dei due mondi: scuola e polis. Ecco l’assessore che mi spiega come la città debba offrire ai cittadini un sistema culturale diversificato e battente che li coinvolga lungo l’arco della vita intera e non solo in quello temporalmente ristretto della scuola. Agganciare i cittadini partendo dalla zona di sviluppo prossimale per alzare continuamente – mai abbassare! – il livello. Indimenticabile, oltre che istruttivo.

Fiorenzo era curiosissimo, ironico, riflessivo e veloce al contempo, tenace, profondo, un po’ narcisista e affettuosissimo. So bene che io l’ho frequentato solo per pochi anni e posso solo immaginare le emozioni di chi l’ha conosciuto per una vita. Ciononostante, sebbene sia consapevole che l’importanza che ho avuto nella sua vita non è paragonabile a quella che lui ha avuto nella mia, sento tuttavia di avere avuto con lui un rapporto privilegiato. Come d’altronde sentono tutti quelli che l’hanno conosciuto. Lui era capace anche di questo.

Ora siamo soli. E si sente. Mi mancheranno le telefonate, le mail lunghe, belle, istruttive, le incredibili cene natalizie (ogni piatto aveva la sua storia sapientemente narrata), le visioni teatrali dei processi al Carignano, le domande sul teatro e sulla lirica e poi sentirmi considerato, capito, protetto. Mi mancheranno l’interesse e la profondità di molte nostre discussioni e anche le riflessioni che, inevitabilmente, dopo ogni incontro, mi accompagnavano e roteavano nella mia testa fino a trovarvi sede. Mi mancherà inviargli le mie idee, consultarlo su alcune scelte – non solo professionali, sentire che c’era. 

Ora, come si evince dagli articoli apparsi sui giornali in questi giorni, tutti quelli che sono stati in parte cresciuti da lui ne portano il segno e sono certo riverseranno nella loro azione quotidiana parte di quella eredità. Non possono fare diversamente. Difenderanno certi assunti e adatteranno ai tempi che cambiano quelle idee e sensibilità che per natura e osmosi hanno sviluppato. Questa presenza diffusa è una delle eredità più grandi di Fiorenzo: chiunque si è giovato della sua conoscenza ha in sé una tessera più o meno grande del suo magistero. E se chiudo gli occhi e penso a Torino oggi, non è un caso che il segno della sua impronta si profili subito, e così continuerà a essere, figlio dell’unione di esperienze e insegnamenti che compongono un mosaico brulicante, vivido, energico di cui credo lui sarebbe orgoglioso e felice.

Addio Fiorenzo.

Tazio Brusasco

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