Di Valentina Noya
Vicepresidente Associazione Museo Nazionale del Cinema
Siamo felici per diverse ragioni di conferire come Associazione Museo Nazionale del Cinema il ventunesimo Premio Maria Adriana Prolo a Markus Imhoof.
Prima di tutto, perché questo premio nasce da una condivisione, di concerto con il Direttivo dell’Associazione composto oltre che da me, dal presidente Vittorio Sclaverani, da Marco Mastino, da Milad Tangshir ed Edoardo Peretti, da Davide Mazzocco, direttore della rivista Mondo Niovo giunta al numero 107, monografia dedicata quest’anno al cinema di Markus Imhoof dal titolo Il tempo necessario della speranza.
Ringrazio inoltre Simone Vona che ha curato il progetto grafico e la nuova veste di Mondo Niovo.
Siamo felici perché il cinema di Markus è una lama di luce che illumina precisamente, senza accecare, ma arriva direttamente al cuore, scaldandolo.
Sono personalmente felice, perché nel 2018 in questa stessa sala ebbi una folgorazione per Eldorado e dopo la proiezione rivolsi due parole sbrigative a Markus Imhoof che era presente in sala, riuscendo solo a dirgli che il suo film era molto più bello di Fuocoammare di Rosi.
Mi vergogno un po’ di non essere allora riuscita a trovare parole migliori, per esprimere un’emozione molto più nobile che aveva suscitato il suo cinema, rispetto a quella dura e sciocca comparazione.
Dopo aver avuto il privilegio di vedere tutti i film di Markus per curare il numero, posso confermare con gioia la sua capacità unica di sublimazione della sofferenza, quella capacità di coniugare il racconto autobiografico più intimo con la storia universale, la sua maestria nel rendere utile il suo trauma di bambino per cercare l’empatia nell’altro, se possibile anche nel nemico; una capacità che rivela un metodo incomparabile dal personale all’universale, indistintamente utilizzabile dal documentario alla finzione e viceversa.
In questi giorni, abbiamo confermato una piacevole sensazione, ovvero che ci sono casi in cui l’uomo non è diverso dall’artista e che in questa unione Markus Imhoof sia un esempio eccezionale di regista politico nella sua più pura essenza: curioso, attento, meticoloso, capace di prendersi cura di persone, relazioni e processi.
In questo, come Associazione Museo Nazionale del Cinema, ci riconosciamo pienamente e per questa accoglienza, questa cura, lo ringraziamo di cuore e cervello.
Soprattutto in un momento complesso per la nostra storia, in cui ci sentiamo parenti di una famiglia disfunzionale in cui siamo madre, ma allo stesso tempo siamo percepiti come figli ribelli, un po’ come nel dilemma esistenziale del film Die Reise (Il viaggio) di Markus; forse non siamo ribelli, cerchiamo semplicemente di essere liberi.
Ci è stato rinfacciato quest’anno che facciamo quello che vogliamo o peggio che non si sa bene cosa facciamo, nel tentativo di misconoscere chi siamo e cosa facciamo.
Ecco, vorrei ribadire che noi non facciamo quello che vogliamo, quando lavoriamo nelle periferie più povere della città con il cinema, quando usiamo il cinema come strumento di riflessione, espressione ed emancipazione nelle carceri, quando portiamo i nostri laboratori partecipativi nelle scuole o con i ragazzi in affidamento familiare – istituto sociale ora terribilmente compromesso da una legge regionale che mette al centro la famiglia “naturale” e misconosce i diritti dei ragazzi a crescere in un ambiente idoneo e salutare per il proprio sviluppo e il proprio benessere psicologico; noi quando facciamo queste cose non facciamo quello che vogliamo, noi facciamo quello che possiamo, noi facciamo quello che dobbiamo fare, quello che sentiamo giusto fare in una società che acuisce le diseguaglianze e mette le persone le une contro le altre, invece di cooperare come ci insegnano le api di Markus in More than Honey – Un mondo in pericolo.
Nelle enormi difficoltà che abbiamo attraversato quest’anno che sono prevalentemente difficoltà di dialogo con il sistema cinema torinese, ci teniamo ancora a ringraziare Markus per averci invece visti e ascoltati. Lo ringrazio ancora personalmente, per il lavoro che abbiamo svolto insieme per la revisione della sua intervista: mi ha fatto riflettere molto su quanto potere alberga nel linguaggio, nella scelta di una parola, piuttosto che di un’altra.
Lo ringraziamo per aver condiviso con noi la sintesi del suo cinema e il racconto della sua vita, nei cui valori noi ci rispecchiamo pienamente.
Discorso per il conferimento del Premio Maria Adriana Prolo del 12 dicembre 2022
Di Markus Imhoof
“L’avidità e la paura sono le uniche due motivazioni nella vita, amico mio”, dice l’apicoltore industriale americano nel mio film sulle api.
Avidità e paura?
È davvero tutto?
Nella vita privata e in politica?
Nei film e nei libri non si parla anche di altre cose, come per esempio dell’amore o della compassione?
Dunque c’è di più che mero egoismo.
Da bambino ho fatto una scoperta che mi ha lasciato perplesso.
Anche tutti gli altri dicevano “io” parlando di se stessi.
Ma già io sono “io”!
Ora, improvvisamente, anche tutti gli altri sono me?
Anche tutti voi qui – un’intera sala piena di me.
Ma io si dice noi al plurale
E chi fa parte di questo noi?
Chi si intende con “Dacci il nostro pane quotidiano”?
La mia famiglia.
I miei amici e i miei vicini.
Anche il vicino cattivo?
E gli stranieri?
Nel Vangelo secondo Fontana, il Presidente della Camera reinterpreta la Bibbia così:
‘Ama il prossimo tuo’ vuol dire gli italiani.
Esiste dunque una gerarchia dell’amore e dei diritti umani secondo cui questi diminuiscono con l’aumentare dei metri, e ancor più dei chilometri?
Come la luce che diminuisce in base al quadrato della distanza?
Questa legge fisica dovrebbe valere anche per l’empatia e i diritti umani?
Dovremmo considerare il nazionalismo come una legge xenofoba della natura?
Ho fatto l’analisi del mio DNA ed è avventuroso ciò che nuota nel mio sangue: molta Svizzera, ma anche Inghilterra, un po’ di Africa e Italia.
Chi sono allora i miei vicini?
C’è una legge universale che vale anche per me? Per tutti?
Mi affascina sempre nel calcio, quando un giocatore dopo un goal indica il cielo, per ringraziare Dio – per averlo aiutato contro l’avversario, che Dio evidentemente ama di meno.
Ma le regole del gioco fortunatamente non si lasciano influenzare da questa assistenza al tiro dall’alto,
sono uguali per tutti,
per tutte le nazioni, le religioni e i colori della pelle.
Le regole del gioco garantiscono equità globale!
Perché non dovrebbe essere così anche nella vita e nella politica?
Come reazione alle atrocità della Seconda guerra mondiale, dal 1948 le regole internazionali del gioco dell’ONU stabiliscono, ad esempio, che:
“Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti”.
La Francia ha firmato questo divieto di tortura nel 1948 e lo ha anche inserito nella Costituzione, ma nelle colonie algerine si è continuato a praticare la tortura – il più segretamente possibile, per sfuggire al controllo dell’opinione pubblica.
Quindi più ci allontaniamo e meno valgono i valori dell’umanità?
Anche gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno torturato in segreto dopo l’11 settembre per difendere l’Occidente libero.
Ma non abbiamo già perso i nostri valori nel momento in cui li difendiamo con crudeltà?
Quando il governo italiano rinchiude in mare, al largo dalle coste, per settimane, profughi salvati dal naufragio senza interpellarli, questo è crudele, inumano e degradante – la definizione di tortura.
Come un agricoltore che appende un corvo, a cui ha sparato, sopra il suo pollaio per spaventare gli altri corvi in modo che non mangino i pulcini.
La sofferenza dei profughi e dei migranti deve essere esibita a livello internazionale come deterrente per tutti i piani di fuga.
E allo stesso tempo è un ricatto italiano contro l’Europa, che rende automaticamente responsabile del rifugiato il primo paese, nel quale egli metta piede.
Un accordo ingiusto, basato sull’egoismo dei rifiutanti. L’Italia ha chilometri di coste meridionali.
La Svizzera è fuori dai giochi, non fa parte dell’Europa e non ha spiagge – purtroppo.
Tuttavia, ci sarebbero delle chiare, universali regole del gioco.
Il filosofo Immanuel Kant ha scritto duecentocinquanta anni fa: “Agite in modo tale che la vostra azione possa diventare legge per tutti”.
Ma sembra che abbiamo bisogno di disuguaglianza – per la nostra avidità.
Costruiamo la nostra ruota idraulica, che gira solo sotto un dislivello.
Sappiamo tutti che il mondo collasserebbe, se tutti vivessero nel lusso come noi.
Con la nostra avidità vogliamo impedire la felicità degli altri…
Riscaldiamo il mondo con la nostra felicità, rendendo la vita in Africa sempre più difficile – il calore lo sentiamo già in Italia.
Anche Il clima sta diventando una questione di diritti umani!
I diritti umani devono essere vincolanti a livello internazionale come le regole del calcio.
Dobbiamo lottare per questo.
Anche in questo caso vale la moviola: questo fa parte della nostra responsabilità di cineasti.